Indennità licenziamento nelle piccole imprese, demansionamento e rischi false partite IVA

1) Prime pronunce di merito in tema di tutele crescenti in aziende con meno di 15 dipendenti dopo intervento della Corte Costituzionale. Dell’Avv. Marco Zaia

Gli effetti della incostituzionalità della disciplina Jobs Act in tema di indennità dovute per licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese (fino a 15 dipendenti) cominciano a farsi sentire.

Infatti, se fino a luglio 2025 il tetto massimo per tale indennità era ben saldo e fissato ad un rischio massimo di 6 mensilità, oggi il rischio viene triplicato fino ad un massimo di 18 mensilità dopo l’intervento della Corte Costituzionale di quest’estate.

Tale pronuncia ha effetto già sui procedimenti in corso e molti giudici del lavoro nei Tribunali hanno cominciato a confrontarsi con tali novità, mentre alcuni hanno già provveduto ad esprimersi in merito.

Si segnala tra i primi il Tribunale di La Spezia che, lavorando in linea sui nuovi parametri, ha riconosciuto una indennità risarcitoria di otto mensilità ad un lavoratore licenziamento per giustificato motivo oggettivo ritenuto illegittimo.

Il Giudice del Lavoro estensore di tale provvedimento, ai fini del calcolo di tale indennità, ha tenuto in considerazione, oltre alla dimensione dell’impresa, anche e soprattutto il comportamento delle parti e le loro condizioni, il volume d’affari dell’impresa e la particolarità della fattispecie, ovvero la conflittualità generatasi tra datrice di lavoro e dipendente. Non vengono messi, in ogni caso,  in secondo piano, l’anzianità di servizio ed il vizio, accertato dal  Giudice in corso di giudizio, del provvedimento datoriale impugnato dal lavoratore.

Se hai dubbi, chiedi consiglio a un professionista!

Mai come adesso nelle piccole imprese (fino a 15 dipendenti) il rischio di causa nei procedimenti di licenziamento è privo di parametri fissi.

In attesa dell’intervento del Legislatore, l’incertezza la fa da padrone.

Rivolgersi ad un professionista esperto aiuta a valutare ogni ipotesi di rischio e fattibilità della procedura.

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2)
L’adibizione del lavoratore a mansioni inferiori: il c.d. demansionamento. Dell’Avv. Luca Sassone

Nell’ordinamento giuridico italiano, il c.d. demansionamento è in linea generale vietato in quanto lesivo della professionalità acquisita dal lavoratore. Esistono, tuttavia, delle eccezioni che consentono al datore di lavoro di procedere in via unilaterale all’adibizione a mansioni inferiori di un proprio dipendente.

Questa possibilità – non solo teorica – rappresenta uno strumento prezioso sia per l’impresa sia per il lavoratore, specialmente nell’ottica di conservazione del posto e di adeguamento di eventuali discrepanze relative alle mansioni effettivamente svolte.

In quali casi è ammissibile il demansionamento unilaterale?

Il demansionamento unilaterale è possibile nei seguenti casi:

  • Modifica degli assetti organizzativi della società tale da incidere sulla posizione del lavoratore
  • Ipotesi previste dal CCNL applicato al rapporto di lavoro.

In entrambe le ipotesi, le nuove mansioni devono comunque rientrare all’interno della stessa categoria legale di appartenenza del lavoratore ed essere comunicate a quest’ultimo in forma scritta, a pena di nullità.

    

È possibile procedere al demansionamento su accordo delle parti?

   

Sì, datore di lavoro e lavoratore possono accordarsi in tal senso a condizione che vi sia un interesse del lavoratore ad essere demansionato.

    

A titolo esemplificativo, è pacificamente legittimo il demansionamento su accordo delle parti finalizzato ad evitare il licenziamento.

Consigli pratici per la legittima applicazione del demansionamento

  • Analizzare il CCNL applicato al rapporto di lavoro: alcuni CCNL prevedono già le ipotesi – e la relativa procedura – in cui è ammessa l’adibizione a mansioni inferiori del dipendente.
  • Coinvolgere il lavoratore nella procedura: avviare un dialogo costruttivo per definire tutti i passaggi della procedura.
  • Redigere un accordo dettagliato per il demansionamento su accordo delle parti: specificare le mansioni, la retribuzione e, in generale, tutti gli elementi tipici del contratto di lavoro, ratificando il tutto in sede protetta.
  • Monitorare l’efficacia dell’accordo: valutare periodicamente il rispetto di quanto stabilito nell’accordo.

Se hai dubbi, chiedi consiglio a un professionista!

Il demansionamento è un’opportunità per salvaguardare le competenze di un lavoratore all’interno della tua azienda e per implementare l’organico senza pregiudicare la carriera lavorativa dei tuoi dipendenti. Affidarsi a un esperto può aiutarti a sfruttare al meglio questo strumento, garantendo il rispetto delle normative e il raggiungimento degli obiettivi aziendali.

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3) Gli indici di presunzione della subordinazione: come vengono smascherate le false partite iva. Della Dott.ssa Silvia Pensabeni

Gli indici di presunzione della subordinazione sono un insieme di fattori sintomatici dell’esistenza di una falsa partita iva, o, in altre parole, un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato mascherato da collaborazione autonoma, escamotage impiegato da numerosi datori di lavoro al fine di sottrarsi dai gravosi costi legati all’assunzione di un dipendente.

Il contrasto alle false partite iva è stato avviato dalla c.d. Legge Fornero (L. 92/2012), e successivamente implementato dall’intervento della giurisprudenza che ha, progressivamente, individuato diversi criteri sussidiari che costituiscono indizi di un falso rapporto di lavoro autonomo.

    

Quali sono gli indici di presunzione della subordinazione?

Gli indici di maggior rilievo attualmente utilizzati sono:

  • Monocommittenza: il lavoratore fa fattura solo ad un committente o, comunque, il compenso ricevuto dal committente costituisce la parte maggiore del reddito del lavoratore.
  • Inserimento nell’organizzazione aziendale: il lavoratore dispone di una propria postazione fissa nei locali del proprio committente, oltre ad utilizzare gli strumenti messi a disposizione da quest’ultimo.
  • Assenza di rischio imprenditoriale: la falsa partita iva percepisce un compenso fisso dal committente, eliminando in questo modo completamente il rischio economico/imprenditoriale tipico di un vero lavoratore autonomo.
  • Eterodirezione: il lavoratore ha l’obbligo di seguire e rispettare le direttive impartite dal proprio committente.
  • Orari predeterminati il presunto lavoratore autonomo deve rispettare gli orari dettati dal committente, senza possibilità di modificarli secondo le proprie esigenze. In altre parole, così come un dipendente, è destinatario di un vero e proprio obbligo di presenza e corrispondente vincolo di preventiva comunicazione delle assenze.
  • Ferie concordate il lavoratore non ha la possibilità di organizzarsi autonomamente il riposo, ma deve concordare con il committente il periodo di vacanza e coordinarsi con gli altri dipendenti/collaboratori autonomi (veri o falsi).

Precisazione importante

La presenza di uno o più di questi indici non determina, automaticamente, che scatti la presunzione di subordinazione, ma è necessario considerare le caratteristiche del rapporto alla luce delle circostanze concrete che lo caratterizzano. In altre parole, ciò significa che vi sono situazioni in cui la presenza di alcuni di questi indici comunque non intacca la natura reale della collaborazione autonoma, così come, in altre occasioni, la sussistenza di uno solo di questi indici è sufficiente per smascherare la falsa partita iva.

In ogni caso, solo il giudice ha la possibilità di effettuare questo accertamento.

     

Conseguenze se viene accertata la reale natura subordinata del rapporto

Nel caso in cui venga accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato celato dietro la facciata della falsa partita iva il datore di lavoro verrà condannato dal giudice alla corresponsione delle differenze retributive e contributive che sarebbero spettate al lavoratore se fosse stato, fin dal principio, assunto come dipendente. Allo stesso modo, il datore sarà tenuto a liquidare alla falsa partita iva tutti gli altri elementi accessori della retribuzione tipici della subordinazione: 13°, 14°, TFR…

    

Se hai dubbi, chiedi consiglio a un professionista!

Anche se potrebbe sembrare una strategia vincente per risparmiare nel breve periodo quella di avvalersi di una falsa partita iva, ciò costituisce un rischio economico enorme nel momento in cui il lavoratore decide di agire per la regolarizzazione del rapporto o, per qualche ragione, viene fatta una segnalazione dell’ispettorato. Non rischiare, se tu imprenditore vuoi avvalerti di un lavoratore autonomo per risparmiare sui costi di un dipendente, allora non trattarlo come dipendente!

Forum HR People & Culture | 19 e 20 novembre

“Co-intelligenza e People Transformation”, questo il tema della nuova edizione del Forum HR alla IULM di Milano.

Una realtà attiva da 20 anni in Italia e organizzata da COMUNICAZIONE ITALIANA, torna con una nuova edizione dal 19 al 20 novembre. Ci saremo anche noi!

Una due giorni a fuoco su Knowledge Networking for Business e Knowledge Networking for Advocacy. Due anime che si incontrano nello Studio “phygital” Community House, per raccontarsi e condividere esperienza, tra talk ed eventi a tema con ospiti del settore.

Vicino al nostro desk, nuovi compagni di viaggio e partner di idee e relazioni: il team Automation di LDP con il loro ultimo prodotto: la dashboard HR Performer.

Vi aspettiamo!

Ottobre | La contrattazione aziendale di secondo livello.

Flessibilità su misura per la tua impresa.

    

La contrattazione di secondo livello è uno strumento che consente alle aziende di adattare le condizioni di lavoro alle proprie specifiche esigenze, integrando o derogando, entro certi limiti, quanto previsto dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL). Questo tipo di contrattazione può avvenire a livello aziendale o territoriale e offre vantaggi sia per l’impresa che per i lavoratori.

Cosa può regolare un accordo di secondo livello?

   

Gli accordi di secondo livello possono intervenire su diverse materie, tra cui:

  • Orario di lavoro: definizione di turni flessibili o orari personalizzati per esigenze produttive.
  • Premi di risultato: introdurre bonus detassati legati a obiettivi di produttività o qualità
  • In condizione di normale attività aziendale integrando il CCNL di riferimento per adattarsi il più possibile alle esigenze di un’azienda o di più aziende di una determinata area territoriale da un lato e dei lavoratori dall’altro.
  • In momenti di crisi aziendali consentendo al datore di lavoro di gestire in maniera non traumatica il personale in eccesso.
  • Per il perseguimento di finalità temporanee derogando la legge e il CCNL di riferimento.

Questi accordi permettono di “cucire su misura” le condizioni di lavoro, migliorando la competitività dell’azienda e il benessere dei dipendenti .

   

Falsi miti da sfatare

  • “Solo le grandi aziende possono stipulare accordi di secondo livello”: Falso. Anche le piccole e medie imprese possono avvalersi di questa possibilità, adattandola alle proprie dimensioni.
  • “È un processo troppo complesso”: Falso. Con il supporto di un consulente del lavoro o di un esperto in relazioni industriali, è possibile gestire efficacemente la contrattazione.
  • “Non offre vantaggi concreti”: Falso. Gli accordi possono prevedere benefici fiscali, come la detassazione dei premi di produttività, e migliorare il clima aziendale.

Consigli pratici per l’implementazione

  • Analizzare le esigenze aziendali: identificare le aree in cui un accordo potrebbe portare benefici.
  • Coinvolgere le rappresentanze sindacali: avviare un dialogo costruttivo per definire gli obiettivi comuni.
  • Redigere un accordo chiaro e dettagliato: specificare le condizioni, la durata e le modalità di verifica dei risultati.
  • Monitorare l’efficacia dell’accordo: valutare periodicamente l’impatto delle misure adottate e apportare eventuali correzioni.

Attrarre e trattenere risorse

Come attrarre, trattenere e proteggere gli investimenti sulle risorse nella tua azienda?

 

In un mercato del lavoro sempre più competitivo, le aziende non solo devono attrarre i migliori talenti, lavorare per farli restare, ma anche proteggere l’investimento fatto su di essi — in termini di formazione, know‑how, tempo, relazioni con clienti — assicurandosi che questo non vada perso facilmente quando il dipendente lascia.

 

Strategie per attrarre i talenti 1.2

 

  1. Employer Branding autentico: mostra cosa fai realmente, non solo cosa scrivi nei materiali di comunicazione. I candidati oggi valutano ambiente, cultura, testimonianze. Sottolinea come investi sullo sviluppo delle persone: serve a distinguerti e ad attrarre chi è sensibile a questi aspetti.
  2. Offerta di valore competitiva: non solo stipendio: formazione, benefit, smart working, orari flessibili, welfare. Considera incentivi che premiano la permanenza a medio termine: corsi interni, assegni per la crescita, riconoscimenti.
  3. Canali di reclutamento innovativi: usa referral, social recruiting, partnership con scuole/università. Comunicazione trasparente su cosa offri: “Investiamo su di te”, “Questo percorso porta a…”.

Strategie per trattenere i talenti 2.2

 

  1. Piani di sviluppo professionale strutturati: formazione continua, mentoring, avanzamenti reali. Portare il dipendente a responsabilità crescenti, dimostrando che l’azienda valuta e sfrutta il suo potenziale.
  2. Cultura aziendale inclusiva e valorizzante: riconoscere e valorizzare le persone: il senso di appartenenza riduce il rischio che chi ha investito molto lasci. Garantire che il lavoro che il dipendente svolge permetta di applicare quanto appreso, non che resti sempre sottoutilizzato.
  3. Welfare aziendale e benessere: supporto alla vita personale: flessibilità, benefit per la famiglia, assistenza sanitaria per migliore soddisfazione e ridurre il turnover

Proteggere l’investimento | Tutela del know how

 

Quando l’azienda investe in formazione specifica, considerare mezzi contrattuali per proteggersi: ad esempio patti di stabilità o accordi di non concorrenza, nei limiti consentiti dalla legge.

Ecco la parte riveduta che include un riferimento al patto di stabilità e alla non concorrenza, ma mettiamo l’accento su più leve, non solo quelle contrattuali:

 

Falsi miti da sfatare

 

  • “Investire nella formazione significa che il dipendente resterà sicuramente” Falso. Anche se l’azienda spende risorse (tempo, denaro, formazione), senza politiche di fidelizzazione, riconoscimento e opportunità di crescita, il rischio è elevato che la persona lasci, portando con sé conoscenze e relazioni acquisite.
  • “Misure di benessere aziendale o welfare sono un lusso, non strumenti strategici” Falso. Welfare, flessibilità, work‑life balance, supporti pratici per la vita privata aumentano la soddisfazione, riducono il turnover e proteggono l’investimento fatto in persone.
  • “I vincoli contrattuali come il patto di stabilità o il patto di non concorrenza sono l’unica via per proteggere l’azienda” Falso. Sono utili, ma funzionano meglio se integrati con altri strumenti: cultura aziendale, percorsi di carriera, riconoscimento, opportunità concrete. Il vincolo da solo, se troppo rigido o mal comunicato, può generare resistenza o controversie.
  • “Se il vincolo costa troppo, non serve” Falso. Il costo (retribuzione, benefit, compenso, premio) va confrontato con ciò che rischi senza vincolo: perdita di know‑how, clienti, competenza interna. Spesso la spesa è giustificata dal beneficio che ne consegue.

Consigli pratici per le aziende

 

Ecco alcune leve concrete per trattenere talenti e proteggere l’investimento fatto su di loro:

  1. Formazione integrata e applicabile: assicurati che la formazione sia collegata ai compiti e progetti reali. Documenta investimenti (ore, costi, risultati) per poter misurare il ritorno.
  2. Percorsi di crescita ben definiti: comunica chiaramente le opportunità future, le promozioni possibili. Offri ruoli con responsabilità crescenti per chi dimostra impegno.
  3. Welfare, benessere e cultura aziendale: benefit utili: salute, flessibilità, conciliazione vita-lavoro. Un ambiente che riconosce, ascolta e valorizza è spesso più efficace di molti vincoli legali.
  4. Vincoli contrattuali ben calibrati Patto di stabilità: accorda un periodo minimo di permanenza nel rapporto di lavoro, spesso usato in caso di formazione specialistica. Deve essere scritto, prevedere controprestazioni o corrispettivi se il solo lavoratore gode del vincolo.
  5. Patto di non concorrenza: consente di proteggere know-how e clientela dopo la cessazione del rapporto. Richiede forma scritta, limiti di oggetto, luogo e tempo, e un corrispettivo (art. 2125 c.c.).
  6. Comunicazione trasparente fin dall’inizio: spiega al candidato le condizioni, i vincoli eventuali, cosa significa formazione aziendale, quali strumenti usi per la retention. Evita sorprese dopo: maggiore fiducia, meno resistenze.
  7. Misurazione e monitoraggio KPI utili: turnover post‑formazione, durata media dopo corsi formativi, grado di utilizzazione delle competenze acquisite. Usa i dati per capire cosa funziona, cosa va migliorato, dove l’azienda rischia di perdere l’investimento.

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Allarme licenziamenti

Sentenza n. 118/2025 della Corte Costituzionale, Jobs Act e piccole imprese. Cosa è successo?

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 118 del 21 luglio 2025, ha dichiarato incostituzionale l’art. 9, comma 1, del Decreto Legislativo 23/2015 (Jobs Act) nella parte in cui imponeva un tetto massimo di sei mensilità per l’indennità risarcitoria nel caso di licenziamenti illegittimi in aziende con meno di 15 dipendenti .

Motivazioni della Corte

La previsione di un limite fisso, indipendente dalla gravità dell’illegittimità o dalla situazione del lavoratore, è stata giudicata insufficiente a garantire un risarcimento adeguato e una funzione deterrente efficace nei confronti del datore di lavoro.

La decisione è stata motivata anche con il richiamo ai principi costituzionali di proporzionalità, ragionevolezza, uguaglianza, oltre alla tutela del lavoro come previsto dalla Costituzione.

Conseguenze pratiche

  • Il meccanismo del “dimezzamento” dell’indennità rispetto alle imprese più grandi (quindi una base compresa tra 3 e 18 mensilità) resta valido.
  • Tuttavia, viene eliminato il limite massimo di sei mensilità, aprendo la strada a possibili indennizzi fino a 18 mensilità, stabiliti caso per caso dal giudice.

Applicazione  pratica degli effetti della sentenza della Corte Costituzionale:

In caso di licenziamenti illegittimi in aziende con meno di 15 dipendenti:

per i dipendenti assunti prima del 7 marzo 2015 : tutela obbligatoria e indennità da 2,5 a 6 mensilità* (art 8 della Legge 604/1966) 

*indennità che può maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a 10 anni, e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a 20 anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupi più di 15 prestatori di lavoro

per i dipendenti assunti dopo il 7 marzo 2015: tutele crescenti orientate da sentenza Corte Costituzionale n. 118/2025, da 3 a 18 mensilità.

Cosa cambia per i datori di lavoro

  • Maggiore attenzione nella gestione dei licenziamenti, vista l’incertezza sulla possibile entità dell’indennizzo.
  • Coinvolgimento tempestivo di giuslavoristi e consulenti del lavoro è consigliabile per evitare contenziosi costosi 
  • Richiamo per il legislatore a intervenire e colmare il vuoto normativo, individuando criteri più articolati (es. fatturato, dimensioni aziendali, condizioni economiche) per una determinazione più equa dell’indennizzo.

Avv. Marco Zaìa

 

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Welfare aziendale

Un’opportunità per aziende e dipendenti. Il welfare aziendale rappresenta un insieme di iniziative, beni e servizi offerti dalle imprese per migliorare il benessere dei lavoratori e delle loro famiglie. Queste misure, oltre a incrementare la soddisfazione e la produttività dei dipendenti, possono comportare vantaggi fiscali significativi per l’azienda.

Esempi pratici di welfare aziendale:

 

Le aziende possono adottare diverse soluzioni di welfare, tra cui:

  • Buoni pasto: utilizzabili in ristoranti convenzionati o per la spesa alimentare.

  • Assistenza sanitaria integrativa: coperture aggiuntive rispetto al Servizio Sanitario Nazionale.

  • Rimborso spese scolastiche: per l’istruzione dei figli dei dipendenti.

  • Contributi per la mobilità sostenibile: incentivi per l’uso di mezzi ecologici nel tragitto casa-lavoro.

  • Servizi di conciliazione vita-lavoro: come il maggiordomo aziendale o la banca del tempo.

Falsi miti da sfatare:

  • “Il welfare aziendale è solo per le grandi imprese”: Falso. Anche le piccole e medie imprese possono implementare piani di welfare, adattandoli alle proprie dimensioni e risorse.

  • “È complicato da gestire”: Falso. Esistono piattaforme e fornitori specializzati che supportano le aziende nella progettazione e gestione dei piani di welfare.

  • “Non offre reali vantaggi fiscali”: Falso. I benefit erogati sotto forma di welfare aziendale possono essere esenti da contributi previdenziali e imposte, entro determinati limiti.

Consigli pratici per l’implementazione:

  • Analizzare i bisogni dei dipendenti: raccogliere feedback per comprendere quali benefit siano più apprezzati.

  • Definire un piano chiaro: stabilire obiettivi, budget e modalità di erogazione dei servizi.

  • Comunicare efficacemente: informare i dipendenti sulle opportunità offerte e su come usufruirne.

  • Monitorare e adattare: valutare periodicamente l’efficacia del piano e apportare eventuali modifiche.

 

Avv. Marco Zaia

    

 

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Utilizzo delle email aziendali

Controlli a distanza e uso della mail aziendale: cosa è lecito?

Nel contesto lavorativo moderno, l’utilizzo di strumenti digitali come computer, email e dispositivi mobili è diventato imprescindibile. Tuttavia, è fondamentale per i datori di lavoro comprendere i limiti legali relativi al controllo di questi strumenti per garantire il rispetto della privacy dei dipendenti e evitare sanzioni.

Controlli a distanza: cosa prevede la legge

Secondo l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, modificato dal Jobs Act (D.Lgs. 151/2015), i datori di lavoro possono utilizzare impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo a distanza solo per esigenze organizzative, produttive, di sicurezza del lavoro e tutela del patrimonio aziendale. Tali controlli devono essere autorizzati tramite accordo sindacale o, in mancanza, dall’Ispettorato del Lavoro.

Per quanto riguarda gli strumenti assegnati ai dipendenti per lo svolgimento della prestazione lavorativa (come computer, telefoni, tablet), il datore di lavoro può effettuare controlli senza necessità di autorizzazione preventiva, a condizione che:

  • i lavoratori siano informati adeguatamente sulle modalità d’uso degli strumenti e sulle modalità di effettuazione dei controlli;
  • sia rispettata la normativa in materia di privacy, in particolare il Codice della Privacy (D.Lgs. 196/2003) e il Regolamento UE 2016/679 (GDPR).

Uso della mail aziendale: diritti e doveri

Le email aziendali, pur essendo strumenti di lavoro, possono contenere informazioni personali. Il Garante per la Privacy ha stabilito che il datore di lavoro può monitorare l’uso della posta elettronica dei dipendenti solo nel rispetto dei principi di pertinenza e non eccedenza. Ciò significa che:

  • i controlli devono essere giustificati da esigenze specifiche, come la sicurezza aziendale o la prevenzione di illeciti;
  • non sono ammessi controlli prolungati, costanti o indiscriminati;
  • i lavoratori devono essere informati preventivamente sulle modalità e finalità dei controlli.

Inoltre, la Cassazione ha ribadito che i controlli retroattivi sulle email, ovvero quelli effettuati su periodi antecedenti all’insorgenza di un fondato sospetto di illecito, non sono ammessi ai fini disciplinari.

Falsi miti da sfatare

  • “È sufficiente il consenso del dipendente per effettuare controlli”: Falso. Il consenso del lavoratore non può sostituire l’accordo sindacale o l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro nei casi previsti dalla legge.
  • “Posso controllare liberamente le email aziendali dei miei dipendenti”: Falso. I controlli devono essere proporzionati, giustificati e conformi alla normativa sulla privacy.

Consigli pratici per le aziende

  • Redigere una policy aziendale chiara: Definire le modalità d’uso degli strumenti aziendali e le eventuali attività di monitoraggio.
  • Informare i dipendenti: Fornire un’informativa dettagliata sulle modalità di utilizzo degli strumenti e sui controlli effettuati.
  • Limitare l’accesso alle email: Evitare controlli indiscriminati e accedere alle email solo in presenza di fondati sospetti di illeciti.

 

Avv. Marco Zaia

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Il licenziamento per scarso rendimento

Le aziende ed anche le PMI sono sempre più attente alle performance dei propri dipendenti e sono sempre più convinte che serva incentivare il raggiungimento di obiettivi e target condivisi.

Ma cosa succede quanto il rendimento di un dipendente non è all’altezza di quelli dei colleghi? Come può muoversi l’impresa?

La risposta è il licenziamento per scarso rendimento che a prima vista potrebbe sembrare la soluzione al problema enunciato, ma nasconde tante insidie.

Innanzitutto, non è espressamente disciplinato dalla legge italiana, ma è stato riconosciuto dalla giurisprudenza come una forma di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, ovvero legato a un inadempimento del lavoratore. Affinché sia considerato legittimo, è necessario che:

  • Il rendimento sia significativamente inferiore rispetto a quello dei colleghi in posizioni analoghe.
  • La bassa produttività sia imputabile al lavoratore, escludendo cause esterne o organizzative.
  • Sia rispettata la procedura disciplinare, garantendo al dipendente il diritto di difesa.

Ad esempio, la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento di un dipendente bancario che, in un trimestre, aveva effettuato solo 16 visite a clienti rispetto alle 120 dei colleghi, acquisendo un solo cliente.

Falsi miti da sfatare

  • “Posso licenziare un dipendente solo perché non raggiunge gli obiettivi”: Falso. Il mancato raggiungimento degli obiettivi non è sufficiente; è necessario dimostrare un inadempimento significativo e imputabile al lavoratore.
  • “Non serve seguire una procedura disciplinare”: Falso. Anche in caso di scarso rendimento, è obbligatorio rispettare le procedure previste dallo Statuto dei Lavoratori, garantendo il diritto di difesa al dipendente .

Consigli pratici per le aziende

  • Monitorare le performance: Utilizzare indicatori chiari e oggettivi per valutare il rendimento dei dipendenti.
  • Documentare le evidenze: Raccogliere dati e documenti che dimostrino il calo di produttività e il confronto con i colleghi.

Offrire supporto: Prima di procedere al licenziamento, valutare la possibilità di formazione o riassegnazione a mansioni più adatte.

 

Avv. Marco Zaia

    

 

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Collaboratori

Antonio Costa:

Laureato presso l’Università di Bologna nel 2009.
È iscritto all’Ordine degli Avvocati di Bologna dal 2013.
Si occupa prevalentemente di Diritto Commerciale, Diritto Industriale e Diritto
Penale.
È membro del reparto contenzioso civile.

Mail: a.costa@studiolegaleintegrato.com

 

Pierfranceso Accardo:

Laureato presso l’Università Federico II di Napoli nel 2015, nel 2018 ha conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione forense e successivamente si è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Napoli. Si occupa prevalentemente di recupero crediti e di diritto societario; è specializzato nella gestione di portafogli di crediti UTP ed NPL. È il responsabile della sede di Napoli di Studio Legale Integrato.
Mail: p.accardo@studiolegaleintegrato.com

OF COUNSEL

Partner

Valentina Pepe
Laureata presso Università di Bologna nel 2020.È iscritta all’ordine degli avvocati di Bologna dal 2024.
Referente junior del settore corporate e M&A, si occupa di diritto commerciale, diritto
societario e contrattualistica.
È partner di Studio legale integrato sta S.r.l. sin dalla sua costituzione
Si occupa prevalentemente di Diritto Societario e Commerciale.

Mail: v.pepe@studiolegaleintegrato.com

Associati

Studio Legale Integrato si connota per la partecipazione di un comparto di soci denominati “associati”, che operano nel mondo della consulenza manageriale per le imprese. Questo connubio di professionalità e professionisti permette allo Studio di essere costantemente al passo con le maggiori esigenze che vengono rilevate direttamente dal mondo imprenditoriale e manageriale, nel quale operano gli associati, al fine di fornire assistenza adeguata alla necessità delle imprese.

I nostri associati sono sparsi su tutto il territorio nazionale e gestiscono oltre 2.000 imprese, aiutandole a sviluppare i propri progetti di crescita attraverso la crescita delle persone che compongono l’impresa. 

Tutti i componenti dello Studio si formano con le stesse metodologie che vengono affrontate e studiate dagli imprenditori e dai manager delle aziende. Questo permette di avere una visione unificata d’insieme tra tutti i soggetti coinvolti.